di Maria De Riggi
Jeoseung Saja – Credit immagine: Opera dell’artista nekoyasha89 ©
La cultura popolare coreana affonda le sue radici nello sciamanesimo, un insieme di tradizioni, conoscenze e credenze che provengono dai popoli nativi di tutto il mondo.
Si racconta che i primi capi della Corea avessero qualità sciamaniche o che discendessero dagli sciamani
Gli antichi coreani seguivano un concetto animistico e credevano che ogni oggetto avesse un’anima. I rituali sciamanici includevano il culto degli spiriti e dei demoni che, secondo la loro visione, abitano ogni elemento della natura. Tramite figure soprannaturali come i fantasmi, i goblin, le kumiho, i qilin… hanno cercato di dare un significato a ciò che accade nel mondo. Questo è il motivo per cui la cultura coreana riflette la concezione dell’unione tra il mondo umano e quello spirituale.
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Jeoseung Saja – Credit Immagine: Museo Nazionale della Corea
Attraverso studi, riflessioni e ricerche si tenta di dare una spiegazione alla vita e soprattutto alla morte che nel corso del tempo, ha acquisito un significato e un valore diverso. Piuttosto che rappresentarla in maniera spaventosa, l’immagine cambia, si sviluppa, fino a divenire una guida che accompagna le anime nell’adilà.
Negli ultimi anni molti drama hanno affrontato tale tematica, delineando il messaggero della morte come un essere ambivalente in bilico tra i due mondi. Dotato di una particolare umanità, egli va oltre al ruolo di guida degli inferi. Spesso è dotato di una bellezza affascinante.
Grazie all’immaginario fantastico che spesso attinge l’ispirazione dai miti, si evidenzia una sorta di continuità tra vita e morte.
Di solito per il credo buddista di cui è impregnata la cultura orientale, la vita è rappresentata attraverso un concetto che la rende simile a un’energia. Questa forza si sviluppa, si trasforma e si reincarna fino a completare un percorso che porterà all’Illuminazione finale. Con la morte la coscienza si stacca dal mondo materiale e l’anima risorge nella dimensione spirituale. Nel momento in cui ritorna alla vita, precipita nuovamente nel mondo materiale. Questo ciclo di reincarnazione è chiamato metempsicosi.
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Jeoseung Saja – Credit imagine: opera di LEEhyO0106 ©
In Occidente la Morte è raffigurata come un’entità spaventosa senza viso, al posto del quale c’è una profondità oscura. Indossa un lungo mantello nero e porta con sé una falce che serve per dividere il corpo dallo spirito.
Nella cultura coreana, invece, essa appare simile a un essere umano dalla carnagione pallida e gli occhi infossati. Si ritiene sia uno spirito che serve il Grande Re Yomna (염라 대왕 ), che governa il mondo ultraterreno. Il Tristo mietitore indossa un hanbok nero, indumento caratteristico dell’epoca Joseon, e un cappello nero chiamato gat (갓).
Viene denominato in molti modi: Tristo Mietitore, Sinistro Mietitore, Cupo Mietitore (in inglese Grim Reaper).
In Corea è noto come Jeoseung Saja (저승 사자), che letteralmente si traduce in messaggero dell’aldilà. Infatti “Jeoseung“ significa “aldilà” – non è né il paradiso né l’inferno – “Saja” significa “messaggero” o “inviato”.
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Il lavoro del Jeoseung Saja è quello di guidare le anime nell’oltretomba, seguendo dei precisi ordini. Negli ultimi anni il suo ruolo è stato umanizzato ulteriormente ritenendo che possa aiutare a risolvere qualche avvenimento sospeso del defunto.
Proprio con queste caratteristiche il Tristo mietitore viene rappresentato nel famoso drama: Guardian: The Lonely and Great God, meglio conosciuto come Goblin. Nel drama questa entità è interpretata dall’attore Lee Dong-wook che con il suo viso pallido, le labbra rosse e l’aria perennemente triste e imbronciata ha reso questo personaggio in maniera eccelsa.
Una Fan art del Tristo Mietitore (Lee Dong-wook) nel drama Guardian: The Lonely and Great God
In Goblin, il Tristo mietitore indossa abiti scuri e un cappello con falda larga che lo rende invisibile. In realtà questo particolare non fa parte della narrativa tradizionale del Jeoseung Saja. La sceneggiatrice, Kim Eun-sook, ha avuto l’idea di unire al mito del Jeoseung Saja quello de “Il cappello del goblin“ o “Dokkaebi Gamtu”.
Secondo la leggenda, infatti, se una persona indossa il cappello di un dokkaebi, diventerà invisibile.
La storia del Cappello del Goblin è commemorata addirittura in un francobollo della Corea del Sud.
La narrativa dei drama è ricca di storie che parlano del Tristo mietitore. Goblin forse è uno dei più famosi, ma molti altri K-drama di successo hanno sviluppato tale figura come ad esempio: Arang e The Magistrate, Black, 49 Days, oltre a una serie di film di successo chiamata “Along With The Gods”
Nel drama Black è l’attore Song Seung-heon a interpretare il Cupo mietitore. Entra nel corpo di un umano e incontra una ragazza capace di vedere le ombre. Privo di qualsiasi conoscenza legata alle emozioni, il suo sarà un percorso di avvicinamento al mondo emotivo dell’uomo, fino a scoprire l’amore, la gioia e le sofferenze. Ancora una volta il mondo terreno e quello spirituale si intersecano, evidenziando che forse la linea che li divide non è così netta come si può pensare.
La più famosa storia popolare coreana riguardante il Jeoseung Saja è il mito del Generale Sineui che tentò di ingannare la morte. Questo è un mito che si è tramandato per anni oralmente. Solo in seguito, nel 1994, è stato registrato dall’ Università di Andong nel Journal of Historical Sites of Mt. Geumo.
Il generale Sineui era nato sul monte Geumo, situato nella contea di Chilgok. Quando il Jeoseung Saja andò da lui per portare via la sua anima, egli tentò di ingannarlo. Si trafisse la testa con uno spillo d’argento, che teneva lontani gli dei malvagi, e circondò la sua casa con alberi di arance. Questi frutti erano, infatti, considerati frutti del bene ed erano in grado di impedire il passaggio del Jeoseung Saja. Per ben quattro giorni il tristo mietitore non riuscì a entrare nella casa del generale, fin quando trovò un varco attraverso un albero di pesco. Il pesco era considerata infatti una pianta malvagia e grazie ad essa il Jeoseung Saja riuscì ad entrare nella casa e si nascose sotto il pavimento.
Quando il generale andò a lavarsi la faccia, Jeoseung Saja balzò allo scoperto, lo colpì con un martello di ferro e lo trascinò negli inferi.
Il generale Sineui non si arrese e riuscì a sconfiggere i Gaekgwi (fantasmi che vagano tra gli Inferi e il mondo dei mortali), fuggendo poi dagli Inferi. Tornò così dalla sua famiglia, ma questa nel frattempo lo aveva già seppellito. Il temerario generale i ritrovò così sotto terra e morì di nuovo, soffocato.
La morale è che non si può combattere contro il destino e che la morte è ineluttabile per ogni essere vivente.
Una morale che non lascia spazio alla speranza. Anche se ci sono miti che si differenziano come quello, ad esempio, dell’isola di Jeju. Questo mito narra, infatti, di un uomo di nome Samani Bonpuli che riuscì a ingannare la morte per quarantamila anni. Un prolungamento dell’esistenza che però conduce allo stesso traguardo.
All’uomo non è permesso di varcare il confine e ritornare con la stessa coscienza al mondo terreno. Ha un modo però di entrare in dimensioni diverse per cercare di comprendere… è attraverso la fantasia e l’immaginazione. Scrittori e sceneggiatori, toccati dall’ispirazione, potrebbero essere in grado di alzare il velo della conoscenza.
In fondo il mito insegna che la Natura è regolata da leggi inesorabili, ma suggerisce anche che l’uomo ha nella propria coscienza un frammento sovrannaturale che sopravvive alla morte e che appartiene al Regno dell’Immortalità.